Uno sguardo agli allevamenti di tilapia, un report dal Sudamerica
Da alcuni anni mi dedico al disegno e costruzione di impianti di acquacoltura tropicale in Sudamerica, in particolare in Colombia, Repubblica domenicana e Paraguay… con qualche non irrisoria progettazione in Messico e altri Paesi. Tutte queste enormi regioni sono accomunate da un pesce che fa da protagonista assoluto della scena: la tilapia.
Una panoramica "economica" sulla tilapia
In breve, la tilapia è un pesce d’acqua dolce commestibile facile da allevare, con ottima resa economica-zootecnica (che si riassume intimamente con tre parole = costa poco produrlo). Le carni non sono qualcosa di speciale o ricercato, ma soddisfano tutti i requisiti per essere un piatto fondamentale e apprezzato quale componente proteica della dieta di qualche centinaio di milioni di persone.
In Italia non siamo abituati a parlare di “proteine” nel linguaggio di tutti i giorni: sono preoccupazioni per sportivi o per professionisti del settore. Nei Paesi con una economia ancora da sviluppare, invece, la parola “proteina” rientra nel lessico quotidiano per riferirsi giustamente a carne, uova e pesce. Le parti del piatto con un costo maggiore.
La tilapia in Paesi come la Colombia ha invertido una tendenza, percepita almeno in Europa, dove la carne risulterebbe mediamente più economica del pesce. La tilapia, invece, costa al consumatore sui 3-4 euro al kilo, quando la carne bovina si aggira tra 6 e oltre 10 euro al kilo (con ampie fluttuazioni).
Grazie a questo risultato, dovuto alle caratteristiche produttive dei vari animali, la tilapia diventa anche una forma per combattere la fame e la povertà. Non solo: rappresenta una forma di diversificazione delle entrate per una classe sociale detta “ganadera” ossia i proprietari terrieri e allevatori di bestiame. Una economia basata sulle vacche, infatti, muove alcune preoccupazioni nei periodi di crisi dei prezzi della carne.
Come dobbiamo immaginare un allevamento di tilapia?
La tilapia si alleva in tante maniera diverse. Dal contadino che riesce a portarle a taglia commerciale in una pozza dietro casa al sistema detto tecnificato, il quale include tecnologie e conoscenze tecniche avanzate.
Giusto per avere una idea degli estremi, le tilapie si allevano in laghi estensivi con una densità di 4-5 pesci per metro quadro: circa un chilo totale di biomassa alla raccolta. Nelle gabbie, se le condizioni dell’acqua sono favorevoli, si ottengono anche alcune decine di chili per metro cubo, ma dipende davvero molto da condizioni esterne e poco dalla bravura dell’allevatore.
Infine, nei sistemi intensivi, che sono quelli che costruisco, la produzione gode di un controllo maggiore e una stima o prevedibilità più razionale. In generale, in vasche a bassissimo ricambio idrico parliamo di 8-10 kg/m3 senza biofloc fino a una ventina applicadolo.
Il biofloc non è che il complesso risultato di coltivare batteri e microrganismi direttamente assieme ai pesci, fornendo carboidrati come supplemento, affinchè con la loro crescita di biomassa possano incorporare gli scarti azotati tossici prodotti dal metabolismo dei pesci stessi. In altre parole, invece di cambiare l’acqua, spingiamo al limite tutti i microrganismi utili per sottrarre all’acqua l’azoto, uno dei problemi maggiori dell’acquacoltura. I pesci, questi microrganismi raggruppati in fiocchi (da cui bio-floc), li mangiano pure, generando una sorta di ciclo imperfetto quasi infinito. Questo non è un articolo sul biofloc, ma spero che una idea approssimativa il lettore se la sia fatta.
Dunque, come dobbiamo immaginare un allevamento di tilapie? Vi lascio subito alcune fotografie.


Alcuni allevamenti si sviluppano in stagni circolari con struttura metallica di sostegno. Generalmente, per avere un senso economico, ospitano alte densità di animali e un sistema di ossigenazione idoneo.
